VOLONTÀ DI POTENZA NELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE? NO GRAZIE

A differenza di noi umani e di alcuni altri animali, i sistemi AI di per se stessi non sono affatto animati dal sentimento nietzschiano della volontà di potenza. Evitiamo di inculcarglielo noi.

 

Friedrich Nietzsche

Friedrich Nietzsche

Come la matematica, anche la filosofia tende a spaccare la platea: la si ama o la si odia. Di solito questi sentimenti estremi emergono con prepotenza durante il liceo e spesso il loro catalizzatore è l’incontro con lo spiritato pensatore tedesco Friedrich Nietzsche, uno dei tre grandi ‘maestri del sospetto’ novecenteschi.
Chi non rammenta l’effetto procurato dalla lettura del capitolo su Nietzsche nel nebuloso manuale liceale? Alcuni di noi, i futuri detrattori della scienza filosofica, sono saltati sulla sedia pensando: “ma questo è un mentecatto, vaneggia, è fuori di brutto!” Altri invece, gli estimatori, nel silenzio delle loro claustrali camerette, si sono detti: “ma questo è un grande uomo, lui sì che ha capito come stanno veramente le cose, lui sì che ha il coraggio di chiamare le cose col nome che hanno”.
Io ero tra questi ultimi e anche se, passata la sbornia iniziale, i gusti filosofici si sono indirizzati altrove, devo ammettere che alcune sue idee ‘a presa rapida’ mi si sono piantate in testa e non sono più andate via: la morte di Dio, l’eterno ritorno, il superuomo, la polarità apollineo-dionisiaco e, naturalmente, la volontà di potenza. Tutte hit rimaste in vetta alle classifiche fino a oggi, segno che le idee di Nietzsche, pur apparentemente bizzarre, in realtà trovano un qualche efficace riscontro nelle nostre menti o, se preferiamo, nel nostro sistema nervoso centrale.
In particolare voglio soffermarmi sul concetto forse più popolare di tutti, ovvero la volontà di potenza. Come accade con tutte le idee fondamentali di Nietzsche, anche con questa si ha l’impressione di sapere immediatamente di che si tratta. Non servono spiegazioni o elucubrazioni particolari, tutto appare chiaro già all’origine; anche persone con poca consuetudine alla filosofia capiscono subito di cosa si tratta, e questo è un indubbio merito del nostro, ciò che fa di lui una star indiscussa.
Al di là della comprensione istintuale, comunque, Nietzsche molte cose le ha spiegate nei suoi saggi (le osservazioni su questo tema sono sparse un po’ in tutta la sua produzione, mentre il libro intitolato Volontà di potenza in realtà è una raccolta di frammenti su molti temi diversi eseguita postuma dagli editori), e val la pena di richiamarle rapidamente.

Oswald Spengler

Oswald Spengler

Come sappiamo, Nietzsche ricava l’idea di volontà di potenza da quella di volontà di vivere elaborata da Schopenhauer, mettendoci però molto del suo. Mentre Schopenhauer si era arroccato su una visione leopardiana della volontà come forza irrazionale che spinge l’individuo a lottare per l’esistenza contro il suo stesso interesse e in assenza di un’autentica prospettiva di senso, Nietzsche in un certo senso la riabilita facendone un principio espansivo di auto-affermazione che anima ogni essere vivente spingendolo a superare i propri limiti; gli individui non desiderano semplicemente vivere, ma espandere la propria influenza sugli altri e sulle cose acquisendo, per l’appunto, sempre maggior potenza, Macht. Sarà in seguito Oswald Spengler, nel suo Tramonto dell’Occidente, ad affermare che in realtà la volontà di potenza non è affatto un tratto universale, bensì una caratteristica tipica della mentalità occidentale, sempre faustianamente protesa al superamento di ogni limite, verso l’infinito.
Noi oggi leggiamo e pensiamo queste cose con un retaggio culturale diverso, innervato di conoscenze biologiche e neuropsicologiche. Sappiamo ad esempio che persino i più elementari esseri viventi sulla faccia della Terra, ovvero i batteri e gli archae, mettono in atto sostanzialmente due tipi di comportamenti: si avvicinano alle fonti di sostentamento, di benessere, e si allontanano  da possibili minacce alla loro sopravvivenza, ad esempio delle sostanze tossiche. Tutti gli organismi, anche i più semplici, si adoperano per sopravvivere nel modo migliore possibile ed allontanare la minaccia sempre incombente dell’annientamento finale.

Copertina del libro 'L'esperienza del dolore' di Salvatore Natoli

Salvatore Natoli, L’esperienza del dolore

Per gli esseri dotati di un sistema nervoso complesso è poi centrale il tema del dolore (meravigliosamente dipanato da Salvatore Natoli nel suo saggio L’esperienza del dolore, Feltrinelli, Milano, 1986), il quale per l’appunto, con la sua scomoda presenza, segnala in anticipo i rischi palesi od occulti di un possibile annientamento futuro.
Ecco che allora la volontà di potenza assume un significato diverso. Non si tratta forse di un supremo espediente psicologico che ci illude d’avere in qualche modo allontanato la minaccia incombente della morte? Dispongo degli altri, li costringo a fare ciò che desidero, li posso persino annientare, e in tal modo esorcizzo il sacro timore della morte, la mia stessa morte, quella con cui gioca a scacchi il protagonista del Settimo Sigillo. Amministro, gestisco la morte degli altri, volete non sia in grado di gestire la mia?

Detto questo, val la pena di chiedersi: quali esseri manifestano i segni inequivocabili della volontà di potenza? Sugli uomini, occidentali o no, non può esservi alcun dubbio: persino individui che paiono sprovvisti di particolari talenti manifestano un’incrollabile volontà di espandere la propria sfera di influenza, spesso al di là di ogni ragionevolezza.
Basta recarsi a un’assemblea di condominio o ascoltare un telegiornale qualsiasi per ammirare la volontà di potenza umana all’opera in tutta la sua caleidoscopica varietà di sfumature.

Scimpanzè

Scimpanzè

Con gli animali il discorso si fa più complicato: l’alligatore che atttende la sua prossima vittima nascosto sulla riva del fiume non sembra stia esprimendo una qualche volontà di potenza quanto piuttosto un tipico piano predatorio volto a garantirgli la sopravvivenza, e lo stesso dicasi per quasi tutte le forme di predazione inter-specifica. L’aggressività intra-specifica, all’interno della stessa specie, è invece più ambigua: il comportamento del leone maschio che lotta per garantirsi una posizione dominante nel branco, o quello dei falchi che si impegnano in combattimenti aerei per difendere o espandere il proprio territorio sembra già più compatibile col concetto di volontà di potenza. Da questo punto di vista è curioso il caso del pettirosso, uccellino dall’apparenza leggiadra ma che in realtà manifesta una stupefacente aggressività sia inter- che intra-specifica: se due esemplari di pettirosso dello stesso sesso si ritrovano a dover condividere uno spazio ristretto, è quasi sicuro che uno dei due uscirà dalla lotta senza vita. Mai fidarsi delle apparenze…
È lecito parlare di volontà di potenza? Restano forti dubbi, che al contrario si dileguano nel caso dei primati e soprattutto dello scimpanzè, animale molto ‘politico’ che si impegna in trame spesso machiavelliche per la conquista e il mantenimento del potere. Comportamento tipico dei maschi ma in certa misura anche delle femmine… Forse lo stesso Nietzsche avrebbe riconosciuto nei loro intrighi e nei loro violenti combattimenti per issarsi in vetta alla scala sociale una proto-manifestazione della volontà di potenza umana.

Jaak Panksepp

Jaak Panksepp

Tra l’altro, appare chiaro che per manifestare volontà di potenza è necessario avere almeno un barlume di intenzionalità e consapevolezza. Secondo i neuroscienziati affettivi come Jaan Panksepp o Mark Solms, gli animali dotati di un sistema nervoso sufficientemente complesso hanno sicuramente una forma di ‘coscienza nucleare’ garantita dall’interazione tra tre diverse strutture al livello del tronco encefalico (Sistema Reticolare Attivante, Grigio Periacqueduttale e Collicolo Superiore). Tale sistema tripartito consente a molti mammiferi di fare delle autentiche esperienze soggettive. La cosiddetta ‘coscienza riflessiva’ è invece un fenomeno diverso e pare appanaggio degli umani e forse di pochi altri primati come gli scimpanzè o i bonobo.
Nietzsche afferma chiaramente che la volontà di potenza è una pulsione ‘irrazionale’, e questo significa che a livello di sistema nervoso centrale non interessa tanto la corteccia quanto i cosiddetti ‘sistemi affettivi profondi’ che i mammiferi superiori (questa definizione di ‘mammiferi superiori’ è fastidiosamente antropocentrica, ma è comoda e in assenza di meglio mi rassegno a utilizzarla) ereditano per via genetica e si ritrovano già bell’e pronti sin dalla nascita. Secondo Panksepp questi sistemi sono sette – Ricerca, Rabbia, Paura/Ansia, Sessualità, Cura/Amorevolezza, Tristezza/Panico, Gioco – ma è evidente che nel caso della volontà di potenza sono coinvolti principalmente quello dopaminico della Ricerca, che spinge il soggetto a cercarre sempre nuove soluzioni e conseguire nuovi traguardi, e quello testosteronico/serotoninico della Rabbia, che si attiva quando qualcosa o qualcuno si frappone tra il soggetto e il raggiungimento di una qualche meta rilevante. Come già detto, i mammiferi superiori sono dotati di tali sistemi emotivi al pari degli umani, ed è quindi possibile che essi manifestino i segni distintivi della volontà di potenza.

Copertina del libro 'Come costruire un essere umano' di Hiroshi Ishiguro

Hiroshi Ishiguro, Come costruire un essere umano

Il discorso è invece ben diverso per quanto riguarda i sistemi automatici (non mi piace il termine ‘macchine’, che richiama alla mente carrucole, leve e pulegge, che hanno poco a che fare con ciò di cui stiamo parlando…), soprattutto quelli raccolti nella categoria dell’intelligenza artificiale: allo stato attuale questi sistemi non sono consapevoli, intenzionali, non hanno esperienze soggettive di alcun genere, non provano dolore e non possiedono sistemi emotivi paragonabili a quelli dei mammiferi superiori. È quindi evidente che non possono in alcun modo essere animati da volontà di potenza. Ecco perché non ha molto senso aver paura di essi, che non ci sono affatto nemici, ed anzi vengono concepiti per favorirci in molti ambiti e situazioni. Il punto cruciale, tuttavia, sta in quell’incipit: ‘allo stato attuale’… Oggi le cose stanno così, ma in futuro non è detto che i sistemi automatici non possano essere dotati di intenzionalità, provare dolore e affetti di varia natura, un po’ come la Rachel di Blade Runner o il bambino-automa di Intelligenza Artificiale di Spielberg. Va sottolineato che ciò può accadere solo se noi umani dotiamo tali sistemi delle tecnologie idonee a manifestare queste facoltà, cosa che a mio giudizio dovremmo assolutamente evitare di fare. Non la mimesi dell’essere umano dovrebbe guidare i nostri sforzi tecnologici, bensì il desiderio di dar vita a degli esseri cui siano alieni i nostri difetti costitutivi e soprattutto l’impulso alla volontà di potenza. Siamo tutt’altro che perfetti, e allora non incaponiamoci in questa nostra ossessione auto-mimetica. Facciamoci superare, migliorare dalle nostre stesse creature!

Nondimeno, se guardo alle esperienze attualmente più interessanti in questo campo, come ad esempio quelle condotte da Hiroshi Ishiguro (Come costruire un essere umano, Wudz Edizioni, Milano, 2024), mi sembra che l’intento di generare un androide replicante dell’uomo sia ancora prevalente. Facciamo ancora in tempo a modificare il nostro mindset: esercitiamo un po’ di fantasia e immaginiamo degli esseri migliori di noi. Non solo più intelligenti, soprattutto meno contraddittori!