CONTROCANTO
Tutto il pensiero occidentale è attraversato da un controcanto, una corrente sotterranea, secondo la quale i costituenti fondamentali del nostro mondo non sarebbero le ‘cose’, gli oggetti, ma le relazioni. Persino la fisica contemporanea sembra giungere alla medesima conclusione. Benissimo, ma cosa sono esattamente le relazioni, o meglio, qual è il loro status ontologico? Di sicuro non siamo in grado di rispondere qui.
Massimo Morelli
Relazioni al cuore dei concetti di mente e di intelligenza (Bateson); relazioni al cuore del linguaggio naturale e dei suoi livelli di astrazione (Korzybski); relazioni al cuore del fenomeno del gioco e delle patologie mentali (ancora Bateson); relazioni al cuore della realtà fisica (Heisenberg & co.); relazioni al cuore del desiderio e di tutti gli altri sentimenti umani fondati sull’empatia (René Girard, Rizzolatti e Gallese); relazioni al cuore dello spazio-tempo sociale nelle diverse fasi storiche (Gurvitch e Lefebvre); relazioni nei simboli noumenici che esorbitano lo spazio-tempo sociale (Florenskij): relazioni al cuore di ogni atto creativo (sempre Bateson, Rodari, Frutiger); relazioni al cuore della metafora e quindi delle nostre dinamiche cognitive (Lakoff e Johnson). Relazioni ovunque…

Aristotele
Tutto il pensiero occidentale è attraversato da un controcanto, una corrente sotterranea che scorre in senso opposto rispetto a quella egemone, mainstream, comunemente ricondotta ad Aristotele, il più solido e coriaceo tra i filosofi dell’antichità (un mio amico lo chiamava, a buon diritto secondo me, il farmacista della filosofia).
Secondo questo controcanto minoritario, leggibile come in filigrana attraverso secoli di ostinate riflessioni, l’architettura ultima delle cose non sarebbe fatta di ‘cose’, di quelle che Aristotele chiamava ‘sostanze’, ma piuttosto di relazioni. Non a caso, Aristotele metteva la ‘sostanza’ al primo posto tra gli attributi dell’essere, e solo al quarto posto le ‘relazioni’: aveva una chiara preferenza e, sia pur con qualche esitazione, su di essa è stata edificata la visione prevalente. Per convincersene, basta aprire un sussidiario delle elementari o un manuale per chi desidera imparare da zero una lingua straniera: di solito vi appaiono bei disegni colorati di ‘cose’ (casa, forchetta, mucca, papà…) accompagnati da etichette con le parole corrispondenti. Roba da primo Wittgenstein. Ricordo invece un illuminato professore del liceo che, cercando di farci far pace con greco e latino, tra la sorpresa generale volle ricominciare tutto a partire dalle preposizioni, ovvero dalle parole che servono a legare, mettere in relazione le altre: ad, ante, apud, circa, contra, cum… “Sono i collanti del discorso – diceva – senza i quali le parole non vanno da nessuna parte. Partiamo da qui.” Tra l’altro, si chiamava Allegramente e di rado ho visto un nome attagliarsi così bene a un temperamento.

Ernst Cassirer
Oltre al professor Allegramente molti altri uomini di ingegno hanno rifiutato di accodarsi alla visione prevalente. Ad esempio, nel suo saggio Il concetto di sostanza e il concetto di funzione, Ernst Cassirer concentra la sua indagine sul discorso scientifico. La sua domanda è: di cosa si occupa realmente la scienza? Se andiamo a indagare ciò che la scienza, intesa come grado ultimo della conoscenza umana, realmente fa, ci accorgiamo che essa scopre delle leggi. Non descrive sostanze, né si occupa di ‘cose’, bensì rinviene leggi all’opera nei fenomeni considerati. In realtà più che al concetto di legge, Cassirer si rifà al concetto di funzione matematica, che altro non è se non un modo molto efficace e preciso per mettere in relazione le cose tra di loro. Prendiamo il caso dell’accelerazione dei gravi secondo Galileo: la velocità di caduta di un grave risulta pari all’accelerazione per il tempo (dove l’accelerazione terrestre è pari a 9,81 m/s2). Questa è chiaramente una relazione, che stabilisce una connessione tra due fattori e opera con concetti funzionali. Quindi la scienza ci parla di relazioni e non di fenomeni da cui isolare in un secondo momento i caratteri fondamentali o l’essenza. Benissimo, e per definire le relazioni cosa fa, cosa utilizza? La scienza utilizza simboli, in quanto non ha a che fare con la realtà, ma con relazioni che vanno ‘significate’ e rese intelligibili. La produzione di simboli è ciò che più ‘specifica’ l’uomo: Cassirer lo considera il tratto che contraddistingue l’essere umano, ben più della razionalità o di altre qualità che appartengono anche ad altri animali, come ad esempio la capacità di provare emozioni. Ciò che definisce l’essere umano è la capacità di produrre simboli e di scambiarli con gli altri, e il simbolo è sempre e comunque un struttura relazionale.

Carlo Rovelli
Sulla stessa scia si muove la fisica contemporanea, la quale conferma che l’apparenza dei fenomeni è ingannevole – come del resto avevano già chiarito gli scettici antichi molti secoli fa – e ci consegna un mondo costituito più da relazioni che da cose (più che di cose sarebbe meglio parlare di enti, da όντος, ciò che è, ma la prosa diverrebbe davvero troppo complicata). Le ‘cose’, così come le possiamo indagare oggi, risultano pressoché ineffabili, mentre le relazioni acquisiscono uno status ontologico superiore proprio perché sono esse a definire forma, ordine e struttura dei fenomeni. Questo modo di vedere si è affermato già nella prima metà del Novecento grazie a due fondamentali paradigmi epistemologici: la teoria della relatività e la fisica quantistica. Oggi esiste addirittura una corrente ‘relazionista’ della fisica contemporanea (di cui è aedo il nostro Carlo Rovelli), e le due teorie che si contendono la descrizione del reale a livello microscopico sono la teoria dei campi gravitazionali a loop e la teoria delle stringhe, che entrambe, in ogni caso, rimandano a un mondo definito dalle relazioni più che dalle cose, sostanze o oggetti. La scienza si occupa di relazioni, mentre con il linguaggio quotidiano continuiamo a cercare di isolare cose e oggetti, allontanandoci dalla conoscenza scientifica e introducendo una forte distorsione epistemologica. L’isolamento strutturale che dà origine agli oggetti è solo un artificio mentale, che non corrisponde alla realtà dei fatti, descritta dagli strumenti di indagine più potenti che abbiamo a disposizione. Sono le relazioni a definire le qualità delle cose, non il contrario.
Se il mondo (la realtà, l’essere, chiamiamolo come ci pare) è fatto principalmente di sostanze, abbiamo a che fare con cose ed oggetti, se invece è fatto principalmente di relazioni, abbiamo a che fare con… cosa? Con vuoti, interstizi, o forse segni? È proprio attraverso sistemi di segni che la nostra intelligenza mette in relazione le cose, o come preferiva dire Whitehead, i processi, gli eventi del mondo. C’è un’intrigante citazione di Baudrillard in Lo scambio simbolico e la morte, che descrive bene questa visione alternativa fatta di relazioni più che di sostanze, di vuoti più che di cose. Si tratta di un passo del Chuang-Tzu nel quale uno straordinario cuoco di corte, che in realtà si rivela essere un maestro taoista, descrive il segreto della sua arte.
“Perfetto!”, esclamò il principe Wen Hui, “Come sei giunto a tanta abilità?”
Il cuoco depose il coltello e rispose: “Il vostro servo ama il Tao, che è superiore all’abilità! Al tempo in cui iniziai a tagliare buoi, vedevo soltanto il bue. Dopo tre anni non vedevo più il bue intero. Ora mi affido allo spirito e non guardo più con gli occhi: ho messo da parte l’esperienza dei sensi e agisco secondo i moti dello spirito, seguendo le regole del cielo. Colpisco nei grandi interstizi, guido il coltello nei grandi vuoti, secondo la conformazione naturale dell’animale. Per passare attraverso i punti di articolazione, e ancor più attraverso le grandi ossa, non basta l’abilità. Un buon cuoco cambia il coltello ogni anno, perché taglia. Un cuoco mediocre cambia coltello ogni mese, perché lo usa come fosse una scure. Ora il mio coltello ha diciannove anni! Ho tagliato migliaia di buoi, ma il filo del coltello è come appena uscito dalla cote. Nelle giunture vi sono dei vuoti, mentre il filo del coltello non ha spessore: inserendo la parte senza spessore nei vuoti, c’è spazio più che sufficiente per il coltello. Per questo lo uso da diciannove anni e il suo filo è perfetto. Però, ogni volta che devo tagliare una giuntura, osservo i suoi punti difficili, faccio molta attenzione, smetto di guardare, procedo molto lentamente, muovo il coltello appena appena, e all’improvviso la parte cede, come un mucchio di terra che si sgretola al suolo. Allora ritraggo il coltello e mi fermo.” (Chuang-Tzu, cap. III, Yang Shen Chu. Cit. in Jean Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Milano, Feltrinelli, 2015, p. 135).

Chuang-tzu
Vuoti invece di pieni. Relazioni invece di sostanze. Un mondo di segni opposto a un mondo di cose: è un’antinomia appassionante e che vale la pena indagare, seguendo una manciata di piccole tracce… Sembra che proprio Chuang-tzu abbia detto: ‘Mentre attraversi il fiume del mondo, svuota la tua barca”