VAGABONDO CHE NON SONO ALTRO
L’inarrestabile nomadismo intergalattico del neutrino, la particella sub-atomica più diffusa nell’universo.
Massimo Morelli
Il 4 dicembre 1930 il fisico austriaco Wolfgang Pauli scrisse una storica lettera ai partecipanti di un congresso di fisica della radioattività a Tubinga. Esordiva con “Care Signore e Signori Radioattivi…”, e il suo obiettivo principale era quello di scusarsi per essere impossibilitato a partecipare al congresso in quanto “indispensabile in una festa da ballo che avrà luogo a Zurigo nella notte dal 6 al 7 dicembre”. Personalità bizzarra e spesso impopolare a causa dei suoi frequenti commenti al vetriolo sul lavoro dei colleghi, Pauli non era però esente da sensi di colpa. Nella stessa lettera, infatti, per farsi perdonare, argomentò a favore dell’esistenza di una nuova particella subatomica che chiamò ‘neutrone’ e fu poi identificata sperimentalmente da James Chadwick due anni dopo. Difficile non pensare a Mozart, e concluderne che una certa miscela di genialità e frivolezza rappresenti il marchio di fabbrica dello spirito austriaco.
Poco tempo dopo, l’ispirato ballerino postulò anche l’esistenza di un’altra particella, chiamata ‘neutrino’, su cui val la pena soffermarsi. Non prima, però, di aver compiuto un breve excursus.
Come sappiamo, la struttura generalissima dell’atomo (nucleo + elettroni) fu scoperta dal neozelandese Ernest Rutherford grazie ad alcuni esperimenti sul fenomeno della radioattività (alcuni elementi esistenti in natura come l’uranio, il radio, il polonio sono detti ‘radioattivi’ perché in grado di emettere energia in modo autonomo, senza bisogno di alcun innesco esterno. Essi ‘decadono’ spontaneamente emettendo particelle ed energia).
Avvolgendo l’uranio in strati progressivi di fogli di alluminio, Rutherford scoprì che la radioattività dava luogo ad almeno tre fenomeni diversi in misura della quantità di fogli necessari ad arrestarne il flusso. La radiazione alfa, che oggi sappiamo essere composta da pezzi di nucleo atomico (fasci di protoni e neutroni), ha una massa importante e decade abbastanza in fretta; la radiazione beta decade più lentamente (ci vogliono più fogli di alluminio per fermarla) e consiste in un flusso di elettroni generati dalla trasmutazione nucleare; la radiazione gamma, infine, quella che decade più lentamente di tutte, è formata dai cosiddetti ‘raggi gamma’, ovvero raggi di luce con frequenze molto più alte e lunghezze d’onda molto più piccole della luce visibile.
Già nel 1905 Albert Einstein, con la sua teoria della relatività speciale, aveva reso popolare la formula E = mc2, secondo cui materia (m) ed energia (E) sono aspetti della realtà fisica strettamente correlati, che possono trasformarsi l’uno nell’altro secondo un rapporto regolato dalla velocità della luce (c). In tutte le trasformazioni, comunque, i conti devono tornare e il livello complessivo di energia presente nel sistema deve restare inalterato.

James Chadwick
La radioattività è dovuta appunto a una trasformazione spontanea del nucleo degli atomi che libera energia o sotto forma di luce (gamma), o sotto forma di flusso elettronico (beta) o sotto forma di frammenti del nucleo medesimo (alfa). Il problema è che mentre per il decadimento alfa e gamma il conteggio energetico torna perfettamente, nel caso del decadimento beta non è così. Se ne accorse il solito James Chadwick già nel 1914: l’energia manifestata dagli elettroni della radiazione beta variava in modo imprevedibile.
Come mai? Mentre nella vita i conti non tornano mai, in fisica, almeno lì, non possono non tornare. È un faux pas intollerabile. Molti anni dopo, quando Pauli scrisse la sua famosa lettera, pensava che il neutrone fosse la risposta al problema del decadimento beta, ma si sbagliava. Il neutrone esisteva, verissimo, ma non risolveva l’anomalia energetica del decadimento beta. Fu poi una triade di pensatori costituita dallo stesso Pauli, da Enrico Fermi e dal leggendario esule in Russia Bruno Pontecorvo, a capire che così come esisteva una particella a carica neutra complementare alla carica positiva del protone (il neutrone), esisteva anche una particella neutra complementare alla carica negativa dell’elettrone. Quest’ultima particella, avendo una massa molto più piccola di quella del neutrone, fu denominata ‘neutrino’ e si cominciò a indagarne le caratteristiche distintive.
Tralasciamo qui tutta la storia – peraltro splendidamente raccontata da Frank Close nel suo bel Neutrino, pubblicato in Italia per i tipi di Raffaello Cortina – dell’avventurosa e costosissima serie di giganteschi rivelatori sotterranei che furono necessari per intercettare sperimentalmente i neutrini e contarli, dar loro una dimensione quantitativa. Qui preferiamo concentrarci su quel che oggi sappiamo intorno a codesti enigmatici neutrini, le più nomadiche e inafferrabili tra tutte le particelle conosciute.

Esplosione di una Supernova
Tutto ha origine da fenomeni esplosivi quali i processi combustivi all’interno di una stella come il sole o la deflagrazione di una supernova, che fanno collidere protoni e neutroni ad altissime energie. Una parte dell’energia liberata si trasforma in una nuova particella, il pione (π), che ha vita assai breve e decadendo si trasforma a sua volta in un’altra particella detta muone (μ) e in un neutrino. Eccolo qua, il nostro neutrino, ma attenzione che a sua volta anche il muone, che è una specie di versione pesante dell’elettrone, quando decade produce un neutrino, un antineutrino e un elettrone. Quindi sia il pione, sia il muone, decadendo, generano un neutrino.
Ma ora viene il bello. I neutrini che attraversano continuamente la Terra possono avere origine galattica (il Sole) o extragalattica (residui del Big Bang originario o di esplosioni di supernove, ovvero stelle morenti appartenenti ad altre galassie). Teniamo presente che quando le stelle collassano su se stesse emettono energia sotto forma di neutrini fino alla sbalorditiva quantità di 1059, ovvero 100.000 trilioni di trilioni di trilioni. Noi non ce ne accorgiamo, ma viviamo in una continua tempesta neutrinica: ogni secondo, ciascun centimetro quadrato del nostro mondo è attraversato da 5,44 milioni di neutrini di tutte le varietà, siano essi solari o intergalattici. Sono apparentemente innocui, ma ubiqui e velocissimi. Il neutrino solare che proprio adesso, mentre leggiamo queste righe attraversa la superficie del nostro corpo, ha avuto origine nel Sole meno di dieci minuti fa, e la distanza media dal Sole, ricordiamolo, è di circa 150 milioni di chilometri.

Rivelatore di neutrini
I neutrini sono più numerosi di ogni altra particella conosciuta, sicuramente più numerosi di tutti i protoni e gli elettroni dell’universo messi insieme. La loro massa esiste, ma è imponderabile, talmente piccola che non siamo ancora riusciti a misurarla esattamente; sappiamo però che per bilanciare la massa di un singolo elettrone avremmo bisogno di almeno centomila neutrini. Ed ecco un altro paradosso: sebbene siano così leggeri che non riusciamo a misurarli, la loro massa complessiva pesa più di tutta la materia visibile dell’universo. L’invisibile surclassa il visibile, e di gran lunga.
A che servono, infine, codesti neutrini, che compito svolgono? E chi lo sa. Sappiamo solo che, come dicevano le nostre nonne, sono creature di Dio. Sono forme di energia a spasso per l’universo e forse dovremmo smetterla di pensare che tutto ciò che esiste debba per forza servire a qualcosa, assolvere a una funzione specifica. Al neutrino piace sfrecciare, non visto, attraverso le galassie, e il suo è il modus vivendi più radicalmente nomadico che possiamo immaginare. Non è altro che un vagabondo.